Per Natale quest’anno vi regalo il fiume di Joni dove poter pattinare e volare

Ho ricevuto gli auguri via sms, su whatsapp, viber, facebook, twitter,  dai vicini di casa che hanno suonato alla mia porta, per strada e in auto dalla radio che trasmetteva i classici di Natale e della musica Gospel. Sapete che Oh happy day è una canzone che parla di resurrezione?  Da noi è una delle hit più in voga in questo periodo mentre a Pasqua non se la fila nessuno … ma quante canzoni di Natale esistono? Io ho un cd con i grandi classici delle Xmas songs, Ella, Frank, Nat, una vera gioia da riascoltare in questi giorni intorno all’albero, li preferisco ai dischi che i big di turno si affrettano a sfornare prima delle feste dicendo di non averli realizzati per  una questione di mercato … no infatti, loro credono  veramente nel  Natale, infatti credono che con le solite strenne trite e ritrite faranno un sacco di soldi.  I dreaming of a white  Christmas .. si un bianco Natale a Firenze che io ricordi non si è mai visto, neanche aspetto che Lui scenda dalle stelle, non sono Roberto Giacobbo.  Ho una canzone preferita di Natale che  parla di renne e  di un fiume dove poter pattinare, un fiume così lungo dove insegnare ai miei piedi a volare.

Joni Mitchell scrisse River pensando alla figlia che avevo dato in adozione, alcune delle sue più belle canzoni (e di belle canzoni Joni ne aveva scritte veramente tante)  erano dedicate alla figlia che ritrovò più di 30 anni dopo averla abbandonata e con la quale, fatta eccezione per il periodo d’iniziale gioia dovuta al ritrovamento, non riuscì mai ad avere un rapporto sereno.  Joni si allontanò dalla figlia ritrovata, almeno così ho letto da qualche parte e già da diversi anni si è allontanata anche dalla musica.  Sandra Cesarale sul Corriere l’11 settembre 2007 scrisse: “Joni Mitchell ce l’ha messa tutta per invecchiare con grazia, gli ultimi anni li ha passati a dipingere, ascoltare la radio e vedere vecchi film”. Oggi è Natale, ascolto a loop River, penso alla mia bambina che in questo momento  sta giocando con la sua cuginetta, penso a sua nonna e ai suoi zii che abitano in Florida, penso a mia sorella che in questo periodo si trova a Zanzibar per lavoro e penso a quanto sono fortunata nonostante la malinconia che sento cullata dalla grazia che Joni continua a regalarci.

 

Lost in blue

Portava quell’enorme sciarpa blu girata tante volte intorno al collo che sembrava che la testa ci fosse affondata dentro. Solo il suo naso e i suoi enormi occhi azzurri emergevano da quell’enorme fagotto che era il suo solito abbigliamento. Anita era allegra, aveva la mattinata libera e voleva godersela fuori casa. Le piaceva l’autunno e adorava uscire nei giorni in cui il blu del cielo si fondeva, come nel lapislazzuli, con l’oro delle foglie. Girava senza una meta precisa, entrava in un bar a prendere un the e si divertiva a mettersi in un angolo ad osservare le persone tutte indaffarate, spesso tristi e un po’ spente. Le piaceva fantasticarci sopra immaginandosi storie surreali sulle loro vite e si convinceva che almeno una su dieci fosse un alieno sceso sotto la volta celeste unicamente per assaporare il famoso caffè del Bar Blu. Usciva e si metteva a girellare per negozi, non aveva idea di cosa vedere e eventualmente comprare, si lasciava attirare da piccole cose. Diceva a se stessa di possedere dei poteri magici e si lasciava trasportare dai sentimenti del momento. Amava recarsi alla libreria all’angolo del corso, non allo scopo di trovare libri particolari, ma perché al suo interno c’era il poster di Blue II di Mirò. Le piaceva sostare nel vecchio negozio di dischi perché si ricordava che li per la prima volta aveva sentito River di Joni Mitchell e aveva poi comprato Blue, che custodiva ancora con amore e gelosia fra le sue cose preziose. Era grata alla vita per quei momenti di totale spensieratezza, le piaceva sentirsi leggera e farsi trasportare dall’istinto che la portava una volta ad incantarsi davanti all’intenso azzurro del topazio di un’anello visto in una vetrina, oppure, a sostare sotto una finestra ascoltando il suono di un trombettista che si esercitava su A kind of blue di Miles Davis. Anita sapeva respirare gli odori delle stagioni. Brillava del grano in giugno e delle stelle di agosto, amava le foglie e le conchiglie, i suoni e i libri. Le bastava una mattinata spensierata per gioire della libertà. Il giovedì mattina era solo per lei. Dopo i suoi giri tornava a casa serena per accudire l’anziana signora che la guardava sorridendo dal blu dei suoi occhi pronta a sentire i racconti dei fantastici mondi che aveva appena visitato.

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