La storia della prova costume fra marketing, ossessioni, disagi e liberazione

Come già accennavo nel post “Il corpo giusto“, negli ultimi anni, per fortuna, molte persone stanno promuovendo il concetto di Body positivity. Lo ribadisco per i finti ossessionati dalla salute de’ noantri: non si tratta di pubblicizzare corpi non conformi agli standard, né di incoraggiare nessuno ad ingrassare. Anzi, c’è ancora molta strada da fare per far sì che le persone imparino ad accettare serenamente il proprio corpo, in tutte le sue forme. Uno dei passi fondamentali è quello di vedere le cose per come sono realmente, per rimetterle nella giusta prospettiva e liberarci dal peso più dannoso di tutti: lo stigma.

Sta arrivando l’estate … pauraaaa!!!

Uno dei momenti più temuti dell’anno, soprattutto per le donne, è la famigerata prova costume. Mi sono spesso interrogata sulla sua origine, su chi sia stato l’ideatore di questa crudeltà, su quanti soldi generi all’industria della bellezza e, soprattutto, su quanto male abbia causato e continui a causare a molte persone.

È facile dire: “Non importa, andiamo al mare così come siamo e godiamoci l’estate”; sarebbe davvero facile, ma non è così. I giudizi e le offese sono come schiaffi che ci rendono fragili, ci fanno sentire soli e smarriti. Sapete quante volte mi è capitato che perfetti sconosciuti si rivolgessero a me con commenti offensivi sul mio fisico? Ricordo in particolare un episodio in spiaggia: un uomo, passando vicino al mio ombrellone, mi disse: “Ma come fai a essere così grassa?”. A uomini con la stessa corporatura è mai capitato qualcosa di simile? Come pensate che abbia affrontato i giorni successivi in spiaggia? Ma, soprattutto, quanto è terribilmente ingiusto subire tutto questo? Inutile dirvi che non ho mai avuto la forza di reagire agli insulti, neanche al più piccolo dei giudizi, anche se confesso di aver avuto brutti pensieri.

Non sono sola, sono una delle centinaia di milioni di persone a temere il clima di body shaming generato dalla prova costume, che alimenta ansie legate al proprio corpo e può sfociare in disturbi mentali anche molto gravi, per la stupida idea di dover superare una prova per essere degni di godersi l’estate.

Ma da dove comincia tutto questo? Ho la sensazione che  tutto questo sia iniziato con la patologizzazione della cellulite che (alert spoler!) una malattia non è.
La parola “cellulite” viene usata per la prima volta in Francia nel 1873. Nei primi decenni del Novecento, con la complicità delle riviste femminile, fa il salto dai libri di medicina al linguaggio comune: ecco come una caratteristica celebrata nei dipinti del Seicento è diventata il più odiato degli inestetismi.

Ma questa terribile malattia, di cui molte persone come me non sono ancora morte, veniva celata fino agli anni ’20 del secolo scorso da caste vesti che si usavano come costumi da bagno. Fu proprio nel periodo degli anni ruggenti che si iniziarono a scoprire le braccia e le gambe. La diffusione dei costumi da bagno più sgambati e l’emergere di un ideale di corpo femminile snello e atletico, promosso da riviste e pubblicità, iniziarono a far sorgere l’idea che il corpo debba essere “pronto” per essere esposto sulla spiaggia.

Ergo: induciamo nelle donne, che sono già più fragili, insicurezze sul proprio corpo proponendo modelli di corpo di un certo tipo, spesso irraggiungibili, così da spingerle a spendere più soldi possibili per la loro “bellezza”.

Il cinema e i media successivamente hanno proposto modelli di bellezza di donne, seppur oggi considerate curvy, che comunque non presentavano imperfezioni come cellulite e smagliature. Il miglioramento delle condizioni economiche del dopoguerra ha reso accessibili le vacanze a un maggior numero di persone, aumentando notevolmente la tiratura delle riviste femminili dove venivano rappresentate donne bellissime e dove si proponevano consigli per essere sempre più in forma. Ma è stato nel periodo dell’edonismo reaganiano, gli anni ’80, che avvenne l’esplosione del fitness e dell’aerobica, con figure come Jane Fonda, che spinse ulteriormente l’idea che un corpo tonico e atletico fosse desiderabile. Le campagne pubblicitarie iniziarono a collegare il concetto di salute e fitness alla preparazione per la stagione estiva.

Arriviamo poi ai tempi nostri dove, grazie ai social media, non solo cinema, TV e giornali propongono fisici tonici bellissimi e consigli per ottenerli, ma anche persone comuni, alcuni diventati influencer, propongono ideali estetici e consigli su diete veloci, esercizi last minute e trucchi di bellezza per prepararsi all’estate. Le nuove tecnologie, oggi alla portata di tutti, giocano sull’immagine proponendo, anche grazie ai filtri, figure irreali e volti così trasformati da non presentare neanche la più piccola ruga d’espressione. Fisici con una pelle così liscia da non presentare neanche il più piccolo poro naturale, figuriamoci i peli! E grazie all’intelligenza artificiale, i filtri vengono superati da modelli totalmente irreali.

Seppur superficiale possa sembrare l’argomento della prova costume, questa ha un significativo impatto sociale sull’autostima, che può portare a danni alla salute fisica e mentale.

L’intelligenza artificiale crea l’uomo e la donna più belli del mondo (secondo lei)

Come recentemente ascoltato sulla puntata su questo tema de Il podcast “Il corpo giusto“, la prova costume, se ci pensiamo, dovrebbe essere superata dal costume, non dalla persona. È il costume che deve tornare bene addosso ad ogni corpo, non è il corpo che si deve adattare ad un’unica foggia di costume da bagno. Vogliamo ancora essere oggetti in questa società o soggetti unici quali davvero siamo? Comprendo benissimo quanto sia difficile per noi accettare il nostro corpo, ma davvero vogliamo farci schiacciare dalle industrie dell’immagine e soffrire a causa di questo privandoci della gioia di liberarci dai vestiti e godere dei giorni di sole?

So bene che la teoria è una cosa e la pratica è un’altra, ma i passi da fare li dobbiamo fare noi, pensando a ciò che ci piace davvero e non a ciò che la società impone sulla base del niente. Ribellarsi a queste imposizioni assurde è prendersi la libertà di vivere come noi davvero vogliamo. Chi ironizza sui corpi altrui, chi li offende, chi giudica, anche con la solita frase fatta che va da “le spese dello stato per la salute per colpa dei ciccioni”, a “lo dico per il loro bene”, il loro bene non lo vuole affatto, ma è vittima del marketing della bellezza, è ossessionato dall’immagine, è soltanto superficiale.

Promuoviamo una maggiore consapevolezza sui rischi del body shaming. È importante accettare e valorizzare tutti i tipi di corpo. Finalmente, grazie anche alla maggiore disponibilità di vendite online, possiamo trovare abbigliamento da spiaggia di tutte le misure. Possiamo goderci acqua e sole senza preoccuparci di nulla e, soprattutto, di nessuno.

Alla prossima.

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3 risposte a “La storia della prova costume fra marketing, ossessioni, disagi e liberazione”

  1. Avatar Evaporata

    Purtroppo i media propongono donne sempre più artefatte e simili ad automi con caratteristiche identiche.

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    1. Avatar Sabrina Ancarola

      e temo l’AI più che mai anche per questo

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      1. Avatar Evaporata

        Anch’io…

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