V

Da bambina volevo guarire i ciliegi quando rossi di frutti mi sembravano feriti. Curavo i gattini del mio quartiere rifilando loro intrugli di pane nel latte che proponevo come fossero medicine miracolose. Avevo la passione per aiutare la gente, per togliere loro gli affanni delle malattie, sognavo ad occhi aperti di ricevere stima e la meritata gratitudine. La mia gioventù la passai studiando duramente e poi feci il giuramento, chiamando gli Dei a testimoniare, di regolare il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, di astenermi dal recar loro danno e offesa. Nonostante i miei sforzi, io figlia d’impiegati, non riuscii mai a equiparare nei voti i figli dei dottori. Ogni concorso era vinto dal figlio o dalla figlia di un tal professore, i migliori posti, quelli più in vista, sempre i loro. E allora capii, fui costretta a capire, che fare il dottore è soltanto un mestiere e che per emergere avrei dovuto puntare su altro, che dovevo distinguermi in qualche modo per ricevere il riconoscimento che avevo sempre ricercato. Non potevo accontentarmi di passare il tempo a fare ricette e a visitare chi stava male per poi consigliargli altri medici che avevano studiato più o meno come me. Mi misi a cercare altro, compresi che dare risposte che tutti potevano comprendere era la soluzione adatta. Distribuivo speranza per ogni tipo di malattia, bastavano poche centinaia di euro scambiate nei miei studi e io e loro eravamo tutti più felici. Il mio nome cominciò a circolare, le mia rivoluzionaria terapia piaceva, per ogni incidente, per qualsiasi disturbo del corpo o della psiche fornivo una risposta chiara ed esaustiva. Elaborai dottrine, scrissi libri, organizzai conferenze, ogni volta incontravo qualcuno che mi era grato perché aveva compreso ciò che la medicina ufficiale non era riuscita a spiegare ovvero che la malattia proviene da noi stessi e dai nostri meccanismi inconsci. Mi facevo pagare perché ad altri faceva piacere l’idea di questo legame del corpo con la mente e che attraverso il quale poteva curarsi da solo. Geniale no?
Non tutti però mi erano grati, qualcuno mise in discussione i miei miracoli fatti di alcol acqua e di fiori, le mie favolose guarigioni. Fui costretta a scappare dal mio paese ma riuscii lo stesso, grazie all’ammirazione dei miei seguaci, a non avere mai problemi economici. Ho vissuto delle convinzioni che avevo creato alle quali avrei anche io voluto credere ciecamente. Adesso mi trovo con altri qua sulla collina, morta di una malattia che nessun intruglio, nessun dottore e né la mente avrebbero mai potuto curare.