Non avevo capito, non ho fatto in tempo a capirlo, l’amore io.
Di tempo ce n’era e l’ho lasciato passare, come l’acqua fra le mani come avrei mai potuto trattenerlo?Sono stata tentata di rubarlo quel momento, avrei dovuto farlo, ma non ne ho avuto il coraggio, non sono mai stata coraggiosa sull’amore, mi sono data per sconfitta ancora prima d’iniziare e tu adesso mi presenti l’occasione di turbare le mie misere convinzioni.
Puoi permettertelo, io posso permettermelo?Ho, come sempre, più domande che risposte mentre mi lascio cullare nel suono e nelle parole, tutte da decifrare.
Sai, mi copro spesso con le canzoni dei poeti, con la loro musica che mi avvolge. Non trascino la mia coperta come Linus, perché questa mia coperta è invisibile, ma c’è sempre: mi ci aggrappo, mi ci ricopro e mi tengo al sicuro, perché sognare mi è sembrato più possibile che vivere.
E stupidamente mi sono fatta scivolare via le occasioni, perché dell’amore ho capito che è difficile amarmi. Amarmi mi è sembrato un destino inafferrabile.
Non me ne sono sentita degna.
Non vorrei, adesso, non avere più il tempo di imparare.
Rossana sfuggiva gli specchi, non perché soffrisse di spettrofobia, semplicemente voleva ignorare la sua immagine. Le piaceva sentirsi essenza e non corpo, perché quel suo involucro non lo aveva mai amato, anche se un tempo lo toccava, anche se un tempo si lasciava toccare, anche se quel tempo ormai era così lontano da non percepirne più nessun fremito nel ricordo.
Si pettinava, si curava, un minimo si truccava con gesti ormai meccanici. Sapeva che doveva nascondere alcuni difetti con il correttore, esaltare gli occhi per non farli annegare in quel correttore, per poi uscire di casa e fare ciò che doveva fare: cane, lavoro, casa, spesa, amici. Una vita perfetta senza il ricordo di un amore, una vita solida nel rimpianto di un amore.
Prendeva il treno ogni giorno e, come tutti, guardava nel vuoto infinito di volti nel suo telefono. Come tutti, era lì presente senza essere veramente su quei vagoni, anche quando erano pieni e si stava scomodi.
Una vita la sua che correva su rotaie ben fissate. Ogni tanto pensava a qualche deragliamento, al treno che volava di sotto mentre attraversava il fiume. Sognare finali epici era una delle sue specialità più segrete.
Camminava molto, salutava sempre perché, pur non essendo un’assassina, le piaceva che il suo ricordo fosse accompagnato dalla consueta frase “Era tanto una brava persona”, e brava lo era davvero.
Aveva interpretato il suo ruolo magnificamente, fino a rendersi invisibile, eccetto per i suoi cari e per il suo cane che le chiedeva il cibo.
Come l’acqua, il tempo: non aveva potuto trattenerlo con le mani, sebbene quel suo corpo che evitava di guardare, addosso quel tempo glielo faceva sentire.
La sua vita era ricca di momenti che le affollavano le giornate, così piena da non rendersi conto che questa scivolava via sempre più velocemente. Anche il suo cane stava invecchiando.
Certezze, in un mondo che stava affondando come il Titanic, sapeva bene di non poterne avere, ma era allenata dalla sua routine quotidiana. Era forte. Pensava di esserlo.
Fino al giorno in cui qualcuno riuscì a intravederla.
Allora pensò di essere stata scoperta, che la sua strategia potesse saltare da un momento all’altro. Poteva difendersi, ma ne aveva ancora voglia? Non sarebbe stato più bello, una volta tanto, mollare quell’assurda presa che la costringeva nel suo ruolo di brava donna, senza più sogni, senza più voglie?
Il suo ammantarsi di un ruolo simile a quello di Renée Michel, un riccio senza eleganza, lo sapeva che era solo una forzatura. Non era la portinaia della sua vita, ne era la padrona.
E allora perché non tentare di giocare ancora una volta, che fosse l’ultima, che fosse la prima?
Aprire il cuore, fare uscire i sentimenti, i più chiari, i più oscuri. Accogliere e non pensare che non ci sia più l’occasione del tempo. Perché si vive finché si è vivi, e quando si è vivi tutto è mutevole.
E lo era anche lei.
Non sapeva se in giro ci fosse il suo Kakuro Ozu, non sapeva nemmeno se si sarebbero ritrovati, ma valeva la pena di farsi smascherare, anche rischiando di essere investita da un furgoncino o di finire in acqua volando dal treno.
Perché quell’amore, che è tutto carte da decifrare, valeva la pena di iniziarlo a cercare.

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