Italia 2032
Profughi dell’hinterland milanese si stanno dirigendo a piedi verso Genova. Da Cinisello Balsamo occorrono 44 ore di cammino, 44 terribili ore in cui questa povera gente dovrà affrontare le devastazioni del capoluogo lombardo: cecchini, cumuli di macerie che bloccano le strade, incendi, sciacalli e predatori. Sembra incredibile, per chi ha vissuto in una condizione di tranquillità, dover ora sopportare gli orrori della guerra.
Le comunità hanno smesso di resistere e la paura di essere mandati al fronte come carne da macello è ormai comune, soprattutto tra i più giovani. Qualche anno fa, all’inizio del conflitto, al primo richiamo dell’“eroico patriota”, molti erano entusiasti di partecipare a quella che doveva essere l’azione che avrebbe reso grande l’Europa e il nostro Paese. Ma sono bastati pochi mesi perché in tanti si rendessero conto che, militarmente, siamo scarsi. I nostri equipaggiamenti e le nostre armi sono bazzecole, pinzillacchere rispetto a quelle dei nostri nemici, che continuano a schiacciarci e a deriderci in tutti i modi, in tutti i luoghi e in tutti i laghi.
I bei ideali di patria, su cui i media continuano a bombardarci, ormai non se li fila più nessuno. Il popolo è affranto e, soprattutto, ha fame.
Il gruppo, una volta superata la città, dovrà avanzare verso la Pianura Padana, una vasta zona infestata da pericoli di ogni tipo. Un’area con poca vegetazione, che rende questi disperati facili bersagli per i bombardieri. Non sarà semplice superare già i primi ostacoli: evitare le mine antiuomo disseminate nel comune di Landriano, i cecchini di Valera Fratta, i banditi di Bissone, per poi affrontare il confine tra Lombardia ed Emilia-Romagna.
Affrontare poi l’Appennino, specie in questa stagione, è un’impresa ardua. I sentieri sono disseminati di cadaveri spogliati di tutto: degli oggetti che erano riusciti a portare con sé, dei loro vestiti, perfino della loro carne, presa d’assalto dai topi. Nella Seconda guerra mondiale si poteva almeno trovare aiuto nei partigiani rifugiati sui monti, ma in questo conflitto, data la supremazia militare degli avversari, è stato impossibile organizzare qualsiasi forma di resistenza.
Se qualcuno del gruppo riuscirà ad arrivare alla costa, dovrà cercare lo scafista con cui, a caro prezzo, aveva concordato il viaggio su qualche bagnarola di fortuna. Il tutto senza farsi beccare dalla polizia o dai militari: per i giovani il rischio è la condanna per diserzione; per tutti, bambini e adulti inclusi, c’è l’accusa di tradimento della patria. Rischiano di finire in prigioni affollatissime, dove le condizioni di vita sono disumane e le punizioni all’ordine del giorno. Nessuna visita da parte dei parenti, nessuna risposta da parte dello Stato per avere notizie di loro. Molti, semplicemente, spariscono nelle gattabuie. Per sempre.

Gaza Bay sarebbe un luogo ideale in cui vivere. Non troppo lontano dall’Europa insanguinata, l’ex nazione che un tempo si chiamava Palestina sta vivendo una fioritura di resort di lusso. Casinò, hotel sfarzosi, spiagge dorate: un paradiso per i milionari. Per quelli che si sono arricchiti con il mercato delle armi, con gli investimenti immobiliari. Un turismo d’élite, servito dai poveri sopravvissuti, quelli che hanno rinunciato a qualsiasi pretesa di appartenenza alla loro terra, alla terra dei loro avi.
Ma raggiungere Gaza è impossibile: serve troppo denaro, e gli accordi tra il nostro governo, quello israeliano e quello statunitense non consentono l’ingresso ai profughi italiani. Alcuni ci hanno provato, spinti dalla disperazione. Alcuni sono riusciti ad attraversare il Mediterraneo fino alla Libia. La maggior parte è stata catturata e imprigionata nei centri di detenzione, quei luoghi infernali dove le guardie si divertono a torturare i prigionieri. Nessuno di loro è sopravvissuto.
Chi non è morto nelle prigioni ha trovato la propria fine nel deserto.
I nostri profughi, se saranno fortunati, arriveranno a Genova, per poi dirigersi in Sardegna. Se la Dea bendata veglierà su di loro, eviteranno di morire in mare o di essere intercettati dalla guardia costiera. Da lì, dovranno tentare di raggiungere le Baleari, dove ancora si trova qualche porto accessibile, per poi cercare altre imbarcazioni dirette verso l’Algeria. Poi continuare a piedi, attraverso il Sahara, fino alla Mauritania.
Quanti di loro ce la faranno? Le donne incinte? I bambini? I più deboli? I vecchi?
È davvero terribile dover lasciare la propria casa, anche se ridotta a un mucchio di macerie. Nonostante i pericoli, il rischio altissimo di morire, questo gruppo ha deciso di partire. Perché ormai, in Italia, anche la più flebile speranza di sopravvivenza si è spenta.
Una volta in Mauritania, arriveranno nella terra promessa: il Senegal.
Se qualcuno riuscirà ad arrivarci, dovrà accontentarsi di qualsiasi lavoro pur di campare. Dovrà affrontare il razzismo verso i bianchi europei. Dovrà vivere senza cittadinanza, senza diritti.
Ma almeno, sarà ancora vivo.
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