Limiti (Affari d’amore)

Attilio appariva in quel locale del centro lasciando sempre un segno, come se la sua sola presenza bastasse a cambiare l’ambiente. Con quel fisico possente e un’eleganza tutta sua, non si poteva non notarlo, anche tra i colori sgargianti del bistrot nel cuore della città. Sempre sorridente, sempre cordiale, aveva colpito il cuore di quella stramba cameriera, un po’ attempata e un po’ troppo piena di entusiasmi.
Si sa, con l’età le pulsioni cambiano: per alcuni si placano, per altri si fanno ancora più urgenti.
L’amore? “Non è per tutti,” disse una volta la cameriera. “Può essere una discreta botta di culo o un evento catastrofico.” Cameriera che, per convenzione, chiameremo Maria: un nome che sa di sogni e malinconie, che riempie un intero mondo interiore. Parlare con lei era un piacere, a patto di non essere allergici alla sua incontenibilità.
Attilio e Maria si incontravano lì. Mai fuori. Solo in quella sfera di luci, tra turisti e clienti abituali, che spaziavano da professionisti rinomati ad amanti dell’alcol, fino a devote del Signore.
Erano un po’ come le navi cantate da Ivan, quelle che navigano in senso contrario, in mezzo al mare. Lui il Libeccio, lei il Maestrale. Sempre venti, sì, ma non è uguale.

Fra loro non era mai accaduto niente di più di qualche confidenza, ma Maria, che amava soprattutto immaginare le vite degli altri, si era costruita un discreto film su Attilio.
Un film in cui, un giorno, lui l’avrebbe guardata negli occhi e le avrebbe detto che le piaceva, per poi cedere al destino, come se una catastrofe impedisse a ogni lieto finale di concretizzarsi. Maria sognava, sì, ma non osava mai osare i lieti finali.
Lui, si diceva Maria, era sicuramente qualche spanna sopra e non solo in altezza. Tra loro c’era una distanza sociale, ma soprattutto quel mistero emotivo che lei non riusciva a ignorare: un “qualcosa” d’indefinito, che manifestarlo manco a parlarne. Troppi limiti, i suoi.
Attilio, che era un uomo di mondo, ne era consapevole e viveva tutto con più disinvoltura.
Maria, invece, aveva mollato le cime da un pezzo e, tutto sommato, ci viveva bene, in quel porto quieto. Ma non ci si può più difendere da una cosa normale, come quella di amare.
Fu questa recente conoscenza a far tornare, dopo tanto tempo, Maria a desiderare, pur essendo convinta, sbagliandosi, che nessuno meritasse il suo stupido cuore.
E lei, sull’amore, da sempre ci ricamava su. Si sentiva troppo fuori dalle righe per una realtà in cui il sesso, motore delle passioni, non le interessava da tempo.
Preferiva sentirsi il pittore, non il quadro.
Inventava mille scuse, soprattutto con sé stessa, attornandosi di limiti. Ma quel suo cuore batteva a tempo troppo veloce. Diceva che era per la menopausa, quella stessa scusa con cui mascherava il calore che, inconsapevolmente, la infiammava.
Come sarebbe bello ritrovarsi senza questi benedetti limiti!

Io, naturalmente, tifavo per Maria, anche quando vedevo Attilio, sempre in compagnia diversa, circondato da giovani uomini con cui avrebbe concluso la serata dopo una sana bevuta. Bevuta servita ovviamente, da Maria.

Forza Maria, si è vivi finché si è in vita; magari una volta ti ritroverai a concludere la serata in buona compagnia, con uno o due uomini capaci di farti dimenticare tutti quei limiti.

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