Per Anna e per tutte quelle come noi che hanno lasciato in giro pezzi d loro.
Sto lasciando pezzi di me in giro.
Un po’ sprovveduta, un po’ distratta, abbandono cose.
Me ne accorgo sempre tardi, un po’ come, al cambio di stagione, quando cerco quel maglione che mi stava così bene, o almeno credevo che mi stesse così bene e non lo trovo. Chissà dove l’ho messo… forse si era rovinato, forse l’hoi gettato nel cassonetto della Caritas. Ma che peccato, non ne troverò mai più uno uguale. Ma uguale non sono più io, né per forma né per tempo e, se davvero riuscissi a scovare quel maglione in qualche angolo remoto del mio armadio, della mia memoria, non gli attribuirei più quel valore che ho dato al mio ricordo.
Perdiamo pezzi di noi, via via che cresciamo, via via che invecchiamo. Io mi manco, mi manca la ragazza appena diciottenne che andava a Firenze con il suo Ciao arancione e la felpa verde di Snoopy. Mi mancano anche i pezzi fisici di me, le mie guance piene, i miei capelli scuri, il mio seno sodo. Mi manca anche la mia ciste sulla spalla, il mio utero, i fibromi, compreso quello grande che avevo sul fianco destro, zona che percorro con la mia mano per ricordarne la presenza.
Questi pezzi di me se ne vanno via ogni giorno, scanditi dalla loro scadenza, che io ne sia consapevole o meno.
Ho ancora qualcosa nell’armadio, vestiti in cui non entro ma a cui tengo perché dentro ci stava la ragazza che non so più.
Sono stata cupa e più arrabbiata di quanto non lo sia adesso, sono stata più libera per alcuni versi e per altri più ancora nascosta nella mia bolla.
Sono stata una giovane che portava gonne lunghe e grandi orecchini. Ho sempre amato le felpe e le maglie col cappuccio, ho sempre sentito un po’ il bisogno di proteggermi dentro i miei vestiti e non di trarmi fuori grazie a questi. Per questo motivo, ancora oggi, preferisco stare in confortevoli abiti larghi.
I pezzi di me che si sono dissolti non li ritrovo al mercato, anche se mi piacerebbe ci fosse una bancarella dove, insieme a quella gonna a fiori e quel giacchetto presi a Londra, ritrovassi la mia voce, la mia voglia di cantare e di fare tardi. Mi piacerebbe, insieme a quella giacca di lana nera, ritrovare la mia voglia di viaggiare, l’entusiasmo per il mio futuro. Mi piacerebbe, insieme al mio utero, ritrovare la voglia di scopare, cosa si sente con un corpo caldo vicino al tuo, che sensazioni si hanno quando si è presi, quando prendiamo.
Non trovo più un paio di stivali che mi piacevano tanto, erano comodi. So di averli buttati via, mi dispiace, non ne fanno più così. Mi dispiace, io non sono più così.
Ci sono stati pezzi di me scomodi, che però ho provato a usare, come i tacchi alti. Ci sono state anche l’invidia e la voglia di rivalsa: questi sono pezzi che restano sepolti sotto quella consapevolezza che alcuni chiamano maturità.
Nessun abito nuovo potrà più farmi sentire addosso quella brillantezza che naturalmente avevo, neanche un nuovo utero potrà più farmi vibrare la carne.
“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, pare abbia detto il chimico francese Antoine-Laurent de Lavoisier. In cosa si saranno trasformati i pezzi di me?
Ho sempre pensato, perché essenzialmente mi piace pensarlo, che viviamo in universi paralleli e che da qualche parte in qualche universo c’è una ragazzina con la felpa di Snoopy che gira col suo motorino. Quella ragazzina che ritrovo quando ascolto Janis Joplin che grida: “Prendi ancora un altro piccolo pezzo del mio cuore, baby!”.
Ci sono, fra i vari pezzi di me, anche miei amori, praticamente tutti sbagliati, ma che qualche godimento me lo hanno lasciato. Sono io, nonostante tutto completa, equipaggiata di tutto ciò che è davvero utile. Anche se mi piacerebbe ancora sentire tutto quel carico emotivo addosso, ma forse non lo reggerei baby, take another little piece of my heart.

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