Sarà il raffreddore, o forse sarà che neanche il tempo è mai riuscito a scalfire ciò che provo quando una canzone mi investe, ma avverto i brividi corrermi lungo le braccia.
La colpa (e benedetto Iddio, se è davvero una gran bella colpa) è di Sam Cooke e della sua A change is gonna come.
La star della musica soul scrisse questo brano nel 1963. Cooke sarebbe morto pochi mesi dopo, in circostanze mai del tutto chiarite.
Come racconta il sito Canzoni contro la guerra, una serie di eventi, fra cui l’ascolto alla radio di Blowin’ in the Wind, un incontro con alcuni dimostranti a Durham, in Carolina del Nord, la morte del figlio Vincent avvenuta nel giugno dello stesso anno, e l’arresto subìto in ottobre a Shreveport, Louisiana, per il solo fatto di aver chiesto una stanza in un motel “per soli bianchi”, determinarono in Cooke l’urgenza di esprimere un concetto molto chiaro: non sappiamo cosa ci sia dopo la morte e proprio per questo a ogni essere umano deve essere garantita giustizia, una vita degna su questa terra.
Dylan chiedeva: “How many years can some people exist before they’re allowed to be free?”
Cooke rispose: “Soon. A change is gonna come.”
Iniziò così a scrivere quella che sarebbe diventata, in un certo senso, la risposta alla canzone di Dylan.
Il brano, che sembrava piuttosto lontano dalle sue composizioni precedenti, faticò inizialmente a emergere. Forse non venne subito compreso: da lui ci si aspettava che cantasse di temi più leggeri. In seguito, però, la canzone divenne un inno del movimento per i diritti civili degli afroamericani, nonostante le difficoltà legate alla sua distribuzione, una disputa fra le etichette di Cooke rese infatti il singolo non disponibile per diversi anni.
I tumulti di questo ultimo periodo mi hanno fatto pensare spesso a questa canzone, per questa ragione sento il bisogno di condividere quella voce meravigliosa che comincia raccontandoci:
“I was born by the river in a little tent /
Oh, just like that river, I’ve been running ever since /
It’s beena along time coming /
But I know a change is gonna come, oh yes it will”
(Sono nato sul fiume in una piccola tenda / Oh, proprio quel fiume che da allora sto percorrendo / Ed è passato tanto tempo / Ma so che ci sarà un cambiamento, sì che ci sarà).
Il fiume mi fa pensare alla rivendicazione: “From the river to the sea, Palestine will be free”.
Come non pensare a ogni popolo che ancora oggi è ferocemente oppresso? Come non pensare alla sete di libertà e di giustizia, alla speranza che comunque vada, un cambiamento ci sarà?
Siamo in un’epoca di oppressori, ma anche di proteste. Nonostante i predatori facciano la voce grossa, molti stanno alzando la testa. Questa canzone, che inizia con gli archi e si apre su una voce fiera che rivendica un cambiamento, una voce piena di vita, non urlata, ferma e determinata perché sa di essere profondamente nel giusto, fece fatica a emergere, ma ancora oggi brilla di sconfinata, meravigliosa umanità e continuerà a farlo per sempre. A Change Is Gonna Come è diventato negli anni un punto fermo della musica e della coscienza civile.
Nonostante il futuro ci sembri sempre più oscuro, un cambiamento ci sarà.

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