Caterina – Lately

Il caffè era pronto, ma non le andava di berlo subito. Le piaceva avvertirne il profumo il più a lungo possibile. Forse non lo avrebbe bevuto neanche più tardi; in caso, se ne sarebbe preparato un altro, tanto per sentirlo ancora nell’aria.
E poi, se lui davvero fosse venuto, ne sarebbe rimasto piacevolmente sorpreso: chi entra in una casa che profuma di caffè caldo si sente sempre bene accolto.
Già, ma lui verrà? No, perché quel mezzo invito non era davvero un invito preciso.
La probabilità c’era, diciamo un 50 e 50. Forse anche un 25 e 75… Poteva passare, poteva avere il tempo di fermarsi. Forse.
Ma in quel forse Caterina aveva riposto tutte le sue speranze di quel venerdì. Si era preparata bene, aveva sistemato la casa e aveva lavato anche il suo cane: con l’umidità dei giorni precedenti non emanava esattamente un buon odore. Non si può accogliere per la prima volta una persona in una casa appestata di puzzo di cane bagnato, no no no!
Dopo una mattinata di cura del corpo, compreso il ripasso minuzioso di ogni centimetro di pelle alla caccia di un eventuale pelo superfluo che di certo lui avrebbe scovato nell’attimo in cui le avesse accarezzato le gambe, si era dedicata alla scelta dell’abito e del trucco, devastata dall’eterno dilemma: mi propongo un po’ troietta o in una versione più casta? O una via di mezzo? E come?
Aveva quasi la certezza che lui la filasse anche in quel senso, che non fosse del tutto frutto di una sua fantasia in cui si vedeva travolta di passione, presa sul letto, sul divano o sul tavolo, con lui.
Gli avrebbe fatto un pompino? E poi, dopo, lo avrebbe baciato? Sarebbe stato troppo al primo vero appuntamento? Doveva trovare un modo per andare in bagno tra quell’eventuale rapporto orale e i successivi momenti di tenerezza. Quanto tempo avrebbero avuto? Sarebbe rimasto a dormire a casa sua?
Caterina conosceva la musica che piaceva a lui, ma non voleva sembrare sfacciata nel fargliela trovare di sottofondo insieme alle luci soffuse, per cui aveva scelto il jazz.
Aveva da poco scoperto Nnenna Freelon la quale, tanto nuova scoperta non era, visto che aveva già più di settant’anni, ma le sembrava meravigliosa nelle sue interpretazioni, nella sensualità della voce che si fonde con i fiati. Era la colonna sonora perfetta per quel pomeriggio e forse notte d’amore… o forse niente amore. Neanche sesso.
Quel pensiero un po’ la intristiva, un po’ la rassicurava. In fondo, se non fosse successo niente, se addirittura lui non si fosse fermato a casa sua, sarebbe andato bene lo stesso: non avrebbe dovuto affrontare le paranoie sul fiato dopo la fellatio, su quel pelo dietro il polpaccio di cui non si era accorta, non avrebbe dovuto preoccuparsi di essere stata troppo dolce o troppo impetuosa. E, una volta rivedendolo, non avrebbe dovuto domandarsi se lui sarebbe stato freddo e distaccato o al contrario, troppo appiccicoso.
Più ci pensava, più desiderava che apparisse un messaggio in cui lui le scriveva che avrebbe fatto troppo tardi, che non ce l’avrebbe fatta a passare. Tutto sarebbe tornato come prima: si sarebbero incontrati ogni tanto in giro, avrebbero fatto qualche piacevole chiacchierata e ognuno sarebbe rimasto nella propria bolla. Quella sarebbe stata forse l’unica occasione per romperla, quella bolla. Ma a che rischio? Quello di doversi rimettere in discussione dopo così tanto tempo? Quello di abbandonarsi?

Il tempo passava. Forse ce l’avrebbe fatta anche stavolta a evitare ogni possibile coinvolgimento. “Ormai è tardi” si diceva. “Non passerà più. Potrei anche riscaldare il minestrone che ho fatto ieri. E fanculo all’odore di cavolo, tanto lo sentiremo solo io e il cane.” Sentì il campanello. Sperò che fosse il corriere, che qualcuno avesse sbagliato, che fosse uno scherzo di ragazzini. Invece era lui che la salutò sorridendo.
«Buono il minestrone» le disse. «Ho una gran fame».

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