Fania

Fania amava l’acqua, la percepiva come il suo elemento naturale. Non vedeva l’ora d’immergersi e lasciarsi cullare. Le piaceva stare supina. Metteva indietro la testa in modo che le orecchie restassero immerse. Evocava così una condizione simile alla deprivazione sensoriale, chiudeva gli occhi e tornava all’origine della sua creazione. Si sentiva protetta e pura come all’epoca in cui le sue cellule cominciavano a moltiplicarsi, quando l’universo era costituito unicamente dalla linfa materna. Nessuna cosa al mondo la rilassava così tanto. Ogni tanto avvertiva un suono ovattato e, come quel suono, tutto rimaneva lontano. Le sue angosce, ogni sua emozione scivolava in un abisso profondo mentre lei rimaneva a galla. Fania cercava, nei suoi momenti liberi, di tornare in quello stato di grazia, mare, piscine o laghi, tutto le era congeniale pur di lasciare che il suo corpo venisse sospeso nel fluido d’idrogeno e ossigeno. La vedevo spesso qua in estate, mi piaceva la sua naturale eleganza. Arrivava sempre da sola, veniva nel mio chiosco a prendere un caffè, mi sorrideva e io ricambiavo. Adoravo osservarla mentre si dirigeva verso la riva del lago. Lei si spogliava, lasciava tutto a terra e camminava nell’acqua fino a che non fosse così alta da poterci galleggiare. Durante il mio lavoro mi capitava spesso di cercarla con lo sguardo all’orizzonte. Sono passati tanti anni, ancora la sto cercando.

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