Marco fissava il palco vuoto. Fra poco meno di un’ora si sarebbe tenuta la prova generale e lui era pronto. Una specie di nausea, mista ad uno stato di euforia, lo stava pervadendo, poteva succedere …
Sapeva a perfezione ogni battuta e ogni sospiro di Oberon, il Sogno di una notte di mezza estate era anche il suo sogno. Aveva ammirato il costume, lo aveva accarezzato, nella sua testa ripeteva ogni parola con la giusta intonazione. Conosceva ogni esigenza del regista, ogni capriccio degli attori, il nervosismo del produttore, la puzza di chiuso dei camerini e l’adrenalina della prima imminente.
Cominciarono ad arrivare i commedianti alla spicciolata e qualche loro amico si era già accomodato nella prima fila, il regista aveva già iniziato a bestemmiare, la segretaria di produzione a calmarlo. Ormai il teatro era diventato un luogo di critiche, pochi erano rimasti gli appassionati che potevano permetterselo, il pubblico era composto perlopiù da snob che si limitavano ad esserci perché si doveva e perché se ne doveva parlare, male il più delle volte. Si usavano i nomi del cinema e della TV come specchi per le allodole, l’attenzione era concentrata sulla sfilata di siliconati e vecchie mummie all’esterno dello spettacolo. Marco conosceva bene questo mondo, la parte lucente e quella buia, lui amava il legno, il rosso della tappezzeria sempre più lisa e la scena, l’eco dei passi, l’attenzione. Poteva ancora succedere …
Aveva sempre sognato d’indossare le vesti di un romantico eroe, di un malfattore, di un medico o di un saggio. Il bello, il brutto, il buono e il cattivo, la trasformazione lo incantava, sentiva profondamente di poter sedurre con uno sguardo ogni principessa e con la stessa potenza farsi odiare.
Ormai mancavano pochi minuti all’inizio della prova, si respirava agitazione e noia, qualcuno avrebbe preferito starsene da altre parti, ma il teatro serviva anche per ricostruire la verginità di chi è ben lontano dall’essere un artista, ma tanto inconsistente da lodarsene.
Puk, Tatiana, Lisandro, Demetrio… c’erano quasi tutti. Lo scenografo aveva dato le ultime indicazioni agli operai e si stava vantando della sua bravura nell’aver allestito una scenografia così originale che in realtà aveva solo firmato. Il primo cast era quasi al completo, buona parte del secondo stava seduto in platea. Poteva ancora succedere?
Chi non aveva mai sognato con Shakespeare? Marco lo aveva fatto fin da ragazzino, ricordava perfettamente la prima volta che sua madre lo aveva portato a vedere l’incanto dell’amore, del bosco degli elfi e della regina delle fate. Lui si era sempre sentito il re e ripeteva a sua madre ogni battuta, il teatro era la sua vita, ma quanto era stata dura con lui fino a quel momento? Anni di sacrifici per pagarsi i corsi con le migliori scuole, centinaia di provini, centinaia di “le faremo sapere” e porte sbattute in faccia. Tutte le volte s’illudeva che potesse succedere e anche questa volta era pronto perché la fatalità poteva giocare a suo favore, perché il regista conosceva il suo talento e perché una volta tanto la fortuna poteva pure decidere di stare dalla sua parte.
L’inizio era imminente, il regista aveva cominciato a chiamare gli attori ma di Oberon nessuna traccia, Marco aveva il cuore in gola.
“Oberon! Dove cazzo sei! Se non arrivi giuro che con me non lavori più e non solo, farò in modo che tu non metta più piede su nessun palco!”
Marco guardava il regista che lo ricambiò con un gesto di approvazione, si era fatta, ma mentre si stava recando in camerino per indossare l’abito di scena arrivò lui, l’attore che interpretava il re degli elfi.
Marco spende le luci, si mise alla console con le lacrime agli occhi. Non era successo, neanche questa volta.

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