Cecilia, una piccola storia maledetta

It’s a god-awful small affair

Jessica_Lange_Freak_Show_animated_gifCecilia era stata una bambina triste e da adulta lo era diventata ancora di più. Non aveva mai avuto amici e da piccola ci aveva sofferto molto, per carità non è che avesse chissà quali difetti fisici o caratteriali, era solo una persona che non si notava. Anche a scuola le maestre non la interrogavano mai, nessuno le chiedeva di giocare con lei, nessun ragazzo l’aveva poi corteggiata. Fu la sua sociale trasparenza a renderla amara come il fiele, più cresceva e più coltivava odio verso tutti, animali compresi. Uccideva e feriva per il gusto di veder soffrire, ma l’aveva sempre fatta franca, non era stata mai denunciata da nessuno, pure la giustizia la schifava. Eppure in tempi lontani aveva anche avuto qualche barlume di sentimento, aveva desiderato essere amata, aveva sognato di sentirsi importante per un uomo, un cane o un gatto. Non aveva mai avuto alcuna riconoscenza, neanche un mezzo sorriso da un barista o il saluto cordiale di una cassiera di un supermercato. Era diventata così consapevole della sua inconsistenza che  ne approfittava per salire sugli autobus e sui treni senza pagare il biglietto, tanto nessun controllore avrebbe fatto caso a lei. Nel tempo la sua amarezza e il suo odio accrebbero in lei un grande potere, l’esclusione dal mondo divenne la sua forza, poteva ingannare gli eventi, umiliare chi l’aveva o chi l’avrebbe umiliata per la sua non presenza.

Quando crebbe abbastanza decise di lasciare la casa paterna, i suoi genitori non obbiettarono la sua scelta, averla o non averla fra i piedi non cambiava molto in famiglia. Riuscì a laurearsi, a vincere un concorso come impiegata statale, si comprò casa ad un’asta, un’asta a cui nessuno si era presentato, non ebbe mai da litigare con i vicini, nemmeno un inquilino del palazzo dove abitava aveva fatto caso a lei. Usciva per andare al lavoro, ogni tanto andava al cinema per vedere le pellicole di grandi storie d’amore che avrebbe odiato, mangiava con parsimonia, si metteva al computer e cercava inutilmente amici. Aveva anche provato nei siti d’incontro, quelli dove è scontato solo l’interesse sessuale, ma niente. Cominciò con uccidere un gatto che aveva adottato, reo di non essersi mai avvicinato a lei, uccise poi un commesso di un botteghino del cinema che aveva fatto passare avanti a lei tutte le altre persone in coda. Ogni volta che uccideva si sentiva crescere dentro questo potere assurdo, sapeva che l’avrebbe sempre fatta franca  e più uccideva più aumentava questa eccitazione. Aveva seminato intorno a sé un gran numero di cadaveri, ma mai nessun sospetto, tant’è che aveva ucciso anche un paio di detective che indagavano sul caso di queste morti misteriose. Decise allora che sarebbe stata la sua morte l’epilogo più giusto della sua opera di distruzione, organizzò un grande evento, la sua fine si sarebbe svolta in circostanze spettacolari. Comprò la dinamite, lasciò intorno a sé numerose tracce e iniziò a mandare lettere alla polizia in cui diceva dove e quando ci sarebbe stato l’attentato. La sua morte fu veramente grandiosa, il boato nel parcheggio di quel centro commerciale si era potuto sentire a chilometri di distanza. La dinamite che aveva disintegrato il suo corpo aveva creato un cratere gigantesco. Ma fu tutto inutile, pochi secondi dopo la sua esplosione un meteorite aveva colpito proprio il punto in cui si era così epicamente immolata.

2 risposte a "Cecilia, una piccola storia maledetta"

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  1. Mi chiedo, come ha fatto questa storia a giungere fino a noi? Le congetture potrebbero risultare infinite, sarà davvero morta nel parcheggio o si sarà sposata con le calze a rete e le nozze santificate con un prete? Sarebbe inutile azzardare un parere..
    Oggi mi sento Hollywoodiana. 🙂

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