Mi presento, sono Mary Lou, sono nata nella miseria, vissuta nella miseria e nella miseria morirò. Ho avuto molti uomini, io sapevo far bene l’amore, riuscivo a sedurli con uno sguardo e a stregarli a letto, mi piaceva essere implorata per poi abbandonarli. Non sono mai stata capace di vivere una relazione esclusiva per più di due mesi , poi esclusiva…Dio ma come si faceva a resistermi? E io non sapevo resistere alle lusinghe. La mia infanzia l’ho vissuta nel fango di una periferia dell’ est, mio padre mi diceva che ero la sua principessa e picchiava mia madre, lui era un duro, lui beveva, lui allungava le sue mani. A quindici anni scappai di casa con il solo vestito che avevo addosso e la mia bellezza. Nessuno fa niente per nessuno e, questo anche se lo sapevo, continuai ad impararlo sulle mie spalle, le mie braccia, i miei seni e la mia vagina.Ho sgobbato nei locali più squallidi, ho lavorato per signori ricchi che mi trattavano come una pezzente davanti alle loro mogli ma poi la notte facevano gli agnellini nel mio letto, ho servito ciambelle a camionisti lardosi dalle mani unte, poi decisi di mettere a frutto le mie esperienze, mi stavo abituando ad avere spesso le mani addosso e avevo deciso di sfruttarle a mio vantaggio. Conobbi un uomo molto più grande di me, suonava la chitarra e il suo sorriso era come un cancello aperto verso il paradiso, decisi che sarebbe stato mio. Mi fece capire che io il blues l’avevo dentro e cominciai ad esibirmi nei locali con lui. Eravamo una coppia formidabile. Con lui la mia voce volava di stato in stato, i nostri blues erano i lamenti d’amore che toccavano i nervi e le anime perse di chi sognava un mondo migliore bevendo whiskey di pessime marche. Eravamo portatori di magie e disperazioni, gli uomini cadevano ai miei piedi e le donne ai suoi, a lui le sottane piacevano molto, non credo che ci sia un uomo capace di fedeltà. Se ne andò con una donna di St Louis , una che aveva un grosso diamante sull’anello, una che aveva il cuore come una pietra in mezzo al mare… una puttana. Mi sentivo persa e forse non mi sono mai ritrovata.Vagavo sempre in cerca di un ingaggio: uno sguardo, un pezzo di coscia e la mia voce roca furono la chiave dei mie successi. Fu allora che decisi che non mi sarei più innamorata e così fu.Ma la notte mi assaliva l’angoscia, non riuscivo a stare da sola e non avevo certo problemi a trovarmi compagnia. Ho portato a letto uomini colti, uomini rozzi, stranieri, artisti e tanti mariti “fedeli” come cagnolini che scodinzolavano ad ogni mio schiocco di dita. Ricevevo molti regali e sperperavo i soldi in vestiti, gioielli e bourbon.Avrei potuto sposarmi, che so avere dei figli, essere una brava donna che cantava in chiesa piuttosto che nei clubs, ma non potevo farlo, sono nata sotto una luce indaco. Non so cosa mi sia successo ad un certo punto, colpa dell’alcol o del sesso ma la voce cominciò tradirmi , non riuscivo più a comandarla, il mio viso era diventato come una vecchia mappa e le mie carni non erano più sode. Piano piano tutti gli amanti svanirono come i mie soldi e la mia giovinezza, mi sono ritrovata come sono adesso: sola e vecchia. Pensare che un tempo avrei potuto avere tutto, gli uomini mi veneravano, potevo prendermene uno ricco e tenerlo buono “finché morti non ci separi”.Ma piacevo troppo e ero orgogliosa della mia bellezza che forse è stata solo una maledizione. Che strano, pensavo che le mie grazie mi avrebbero resa libera e felice, ora invece con questo corpo sto scivolando sempre più all’inferno. Mi credevo furba e eterna,se solo avessi avuto un freno, e che io dovevo essere amata. Sentire le parole e l’eccitazione di un uomo per me erano come il pane per chi ha fame, non riuscivo a farne a meno e adesso mi faccio solo schifo quando mi guardo allo specchio, ma poi cos’è l’amore se non il sopportarsi, e come potevo sopportare di legarmi ad un unico uomo se alla terza volta già non provavo più brividi?Mi sarei dovuta sforzare o imparare ad ingannare, ma non sono mai stata capace, sarà per questo che adesso lucido l’argenteria di ricche signore e pulisco i loro cessi, per poter sopravvivere, io che avevo talento, io che ero così tanto, bella.
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La lama affondava decisa tranciando la superficie fino a arrivare in fondo per spezzare anche l’ultima resistente struttura. Quella sera era tutto deciso, l’ora, il luogo, la vittima predestinata. Sentiva sempre una certa euforia quando si preparava a consumare un delitto. La sera prima aveva dormito pochissimo, i suoi pensieri la riportavano sempre all’idea di quel momento fatale. Nemmeno i ricordi delle volte precedenti e di quelle che ne erano state le conseguenze, con i troppi sensi di colpa, potevano fermarla. Era risoluta e quando prendeva provvedimenti di tale importanza non indietreggiava mai. Si preparava sempre con metodo e cura, non voleva lasciare niente al caso, operava con una precisione chirurgica e chiunque si fosse trovato nel raggio delle sue azioni non poteva scampare. Quel giorno, tanto agognato arrivò quasi quando ormai stava perdendo le speranze e l’entusiasmo. L’organizzazione era perfetta e sapeva con certezza che il suo complice, stavolta, non si sarebbe tirato indietro. Cercava di stare calma, di non perdere il controllo, nonostante non volesse dare l’idea di quanto fosse smaniosa respirava affannosamente. Nella sua testa ripassava tutta la scena, particolare per particolare. Si guardava allo specchio, si sistemava i capelli e il trucco, niente doveva dare l’idea di un atteggiamento non comune. A pranzo mangiò pochissimo perché non riusciva a gustare niente, cercò di leggere ma ovviamente la sua mente vagava, provò anche a guardare la televisione ma anche questo fu inutile. Osservava continuamente il telefonino, temeva che qualche incidente di percorso potesse fermare il suo piano. I minuti passavano con una lentezza insopportabile , quel momento sembrava non arrivare mai e tutti i suoi progetti per ingannare la mente nell’attesa, compresa la meditazione, si erano rivelati fallimentari. All’improvviso suonò il campanello, non chiese nemmeno chi fosse, sapeva che il suo connivente con la vittima stava salendo le scale. Il cuore le batteva all’impazzata, aprì la porta e rimase seduta ad aspettare. L’uomo entrò e mostro ai suoi occhi il corpo del reato, nessuno aveva il coraggio di dire anche una sola parola, infine adagiò con cura quella massa sul tavolo, prese il coltello e tagliò il millefoglie.
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Teresa conservava i suoi ricordi e le sue briciole di vita in una vecchia cassapanca tarlata come le sue ossa. Si svegliava ogni mattina sempre troppo presto, si lavava e si sistemava i capelli con la medesima acconciatura, dava da mangiare ai suoi gatti e si preparava la colazione abituale: latte, fette biscottate con le marmellate che preparava in enormi quantità per lei e i suoi vicini. Si vestiva con cura e andava alla messa, era sempre la prima ad arrivare. Passava poi dalla bottega a fare una spesa sempre priva di sorprese. Sceglieva i cibi che avrebbe cucinato a seconda dei giorni della settimana e delle stagioni. Oggi era il giorno della zuppa di verdure. Lasciava sempre tutto in ordine onde evitare di far trovare la casa in scompiglio nel caso fosse arrivato qualcuno, non poteva certo deludere la fama della brava donna che da molti anni la raffigurava. Il mercoledì si concedeva un giro per il mercato, non tanto per fare acquisti, ma per salutare gli stessi volti di sempre e fare la conta di quanti di questi fossero sopravvissuti alla vecchiaia. Dopo pranzo accendeva la televisione per vedere la telenovela decennale che ormai non le dava più nessuna palpitazione. Nei pomeriggi lavorava a maglia e confezionava golfini per i nuovi arrivati e per chi doveva ancora nascere. Il sabato andava a giocare alla tombola organizzata dalla comunità religiosa e quel poco che vinceva lo donava alla chiesa la mattina successiva. Curava quotidianamente le sue piante che crescevano rigogliose procurando tal volta l’invidia delle comari. Parlava alle rose e ai suoi gatti. Ogni sera, prima di dormire, prendeva il breviario dal suo comodino e ne leggeva qualche passo. Tutti la consideravano una encomiabile persona e nessuno ricordava di lei fatti particolarmente rilevanti nella sua esistenza, il suo essere così, al limite dell’anonimato, la rendeva un ingranaggio perfetto nella vita di quella comunità. Le settimane, i mesi, gli anni scorrevano con quel ritmo sempre regolare , per il Natale dava una mano per preparare la festa parrocchiale, stessa cosa a Pasqua. Durante il mese mariano guidava il rosario sedendosi in prima fila sulle panche vicino all’altare. Il primo Novembre portava le sue rose al cimitero e la sera, a casa sua, apriva la cassapanca rimirando con gioia le foto e le reliquie delle persone che aveva assassinato.
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“Gioca, gioca ancora!” Ogni volta che voglio smettere sento quella voce dentro di me che mi spinge a un gesto folle. Tutti quei numeri, quei colori, quell’aria irrespirabile di chiuso e tutti che si accalcano al bancone. Non vorrei più spendere i mie risparmi, non posso permettermelo, ma quella maledetta vocina nella mia testa non smette mai di tormentarmi. Vorrei rintanarmi in casa e non mettere mai più il naso fuori per non cadere in tentazione, ma la mia mente fugge puntualmente al mio controllo e vaga. Sogno di tornare sempre in quel posto, d’immergermi in mezzo alla gente, di guardare con disprezzo tutte quelle donne con l’aria vincente e quegli uomini così comuni e regalare loro il mio sorriso più cinico, scegliere poi le carte vincenti e sbancare, alla faccia di tutti. Uscire poi con l’aria soddisfatta di chi è riuscito a farsi invidiare e a far parlare di se a lungo. Ma la realtà è sempre ben diversa dai mie sogni, non ci sono i lustrini, ho solo creditori e nessuno mi da fiducia. A volte, cerco di ricordare i miei momenti di gloria, quando ottenevo risposte positive alle mie azioni, ma, ripensandoci bene i miei guadagni sono sempre stati magri, molto più piccoli dei mie investimenti. Spesso costruisco strategie per evitare di perdere il controllo e per un certo periodo sono riuscita a regolarmi, ma ogni cosa mi riporta con la testa la in quel luogo di perdizione. Sento che prima o poi vincerò e voglio tentare un ultima volta: mi spoglio, m’immergo nell’acqua calda con i sali, mi spruzzo il profumo di marca, indosso il mio abito migliore, mi trucco come una vamp, e mi tiro indietro i capelli. Una volta pronta riesco persino a percepire il calore del denaro, nelle mie mani, che investirò e il successivo tuffo nella fragrante mia prossima vittoria. Fiera, altezzosa come non mai varco l’ingresso e mi dirigo subito dal professionista dietro il tavolo e chiedo un ultima volta di poter giocare infischiandomene del rischio.In fondo due euro per un gratta e vinci si possono pure spendere, no?
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Luisa passeggiava per il centro con la testa persa nelle sue tribolazioni, non pensava certo di poter fare quell’incontro così particolare. Fu così che fra una commissione e l’altra la vide, lei altera e bellissima prevaleva fra le altre, e quell’attrazione le fu fatale. Mai aveva sognato di essere quel tipo di donna, ma si sentì irrimediabilmente attratta da quella vistosa eleganza e quello stile impeccabile. In pochi attimi cominciò a sognare di poterla accarezzare, di farla sua, ma pensava di non esserne all’altezza. I suoi occhi cominciarono a fissarla con bramoso desiderio, la voleva in tutti i modi, sognava di stare con lei, fantasticava le sue mani che percorrevano le sue linee morbide, le sue dita fra il suo pelo fino a scendere giù nei punti più segreti, sognava di penetrarla e godere grazie a lei. Meditava su come poter fare per conquistarla, quali strategie usare, che scuse avrebbe inventato e in caso se tenere segreta questa sua unione, che però dubitava potesse rimanere nascosta a lungo, Luisa avrebbe voluto vivere questa sua passione alla luce del sole, anche quando il sole non c’era. Presa da un impeto incontrollabile provò a operare per farla sua, mise in campo tutte le strategie possibili, si finse superba per poter fare colpo, si abbandono in chiacchiere e finte risate per arrivare al suo scopo, alla fine ci riuscì e la conquistò. Certo pagò caro il fascino che aveva subito, la sua vita divenne ancor più difficile di prima, quello fu un gesto folle che la compromise per un lunghissimo periodo, arse tutto per lei, poi anche questo suo nuovo e particolare amore si esaurì, le rimasero solo le rate mensili da saldare e quella pelliccia chiusa nell’armadio che ormai non le piaceva più.
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Le sue gambe si allungavano distrattamente sotto il tavolo, indossava un aria annoiata in contrasto al suo vestito rosso di pailletts, non mangiava quasi niente e quel poco lo frantumava in tantissimi pezzettini che portava alla sua bocca lentamente. Sorseggiava un vino rosso come le sue labbra e non distaccava ma i suoi occhi dal signore che era al tavolo con lei. Non credo di avere mai visto una donna così bella, sembrava un attrice di cui non ricordavo il nome, aveva capelli neri che le scendevano lungo le spalle scoperte, la sua pelle sembrava fatta di porcellana, era dotata di lineamenti fini e fieri, perfetti. Parlava poco ma riuscivo a percepire il suo tono basso e caldo, nella mia mente la vedevo come una Greta Garbo moderna. Mi ero fatta i soliti film nella mia testa, immaginavo lei come un amante ormai priva di passione che per chissà quale motivo non riusciva a distaccarsi ancora da quell’uomo, oppure la figuravo come una escort di alto profilo, una che nemmeno poi la dava via , una vera accompagnatrice che decorava con la sua presenza il cliente di turno. Poi la vedevo come una donna di affari dell’industria della moda o comunque dell’immagine, ma non riuscivo, assolutamente, a figurarmela come moglie di qualcuno, amante si, di uomini o di donne indistintamente.Chiunque fosse ero convinta che poteva essere solo una ottima professionista nel suo campo. Un po’ ho sempre invidiato le bellezze che reputavo algide, lei m’incantava, un corpo perfetto, vero, le sue movenze erano eleganti, pur indossando un abito vistoso non c’era niente di volgare in lei. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Erano arrivati tardi, si erano accomodati nel posto vicino alla vetrata, lui aveva ordinato piatti sostanziosi, da vero macho pensavo io, lei solo della carne al sangue che avrebbe lasciato in buona parte nel piatto. Quell’uomo, pur avendo una bella presenza ,mi appariva così sciatto accanto a lei, era ben vestito, portava un anello d’oro al mignolo, da come parlava sembra un industriale del nord, mentre lei la trovavo prima di qualsiasi inflessione dialettale. Erano rimasti a sedere a lungo, anche quando avevano finito di mangiare, erano rimasti a bere un brandy di annata che sarà costato più di metà del mio stipendio.Mi accorgevo che l’uomo, che valutavo in principio come un tipo freddo, si stava via via eccitando , lei inizialmente rimaneva con lo stesso sguardo dritto e fiero negli occhi di lui, accennava solo raramente ad un sorriso, sempre piuttosto distaccato. Lui pareva sotto incantesimo , forse lei era una fata, di sicuro una donna non comune. L’uomo si sforzava di apparire affabile e galante, lei non concedeva niente più che quel sorriso appena abbozzato, solo che a un certo punto i suoi occhi cominciarono a mutare: s’illuminarono di una luce straordinaria. Credo che anche lui se ne fosse accorto e a quel punto si sentisse completamente perso di passione per quella creatura. Fu in quel momento che lei estrasse la pistola e lo freddò.
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Svegliarmi tutti i giorni accanto a te
è la visione più bella che c’è
Guardare i tuoi occhi appena desto
m fa venire voglia di far l’amore al più presto
Ogni giorno con te è meraviglioso
sono felice ancor oggi di essere tuo sposo
Milioni di giorni con te voglio passare
sei la sola donna che io possa amare
Ricordo con gioia immensa il dì che t’incontrai
e dal quel momento non volli lasciarti mai
E tutti i giorni vive in noi questa passione
che rende unica e speciale la nostra unione
Di amarti mai e poi mai io smetterò
e tutti i giorni io te lo ripeterò
Svegliarmi la mattina accanto a te
è la cosa più pallosa che al mondo c’è
Vedere quel tuo sguardo appena desta
mi fa venir voglia di buttarti fuor dalla finestra
Ogni giorno con te è sempre più noioso
sono stata scema a sceglier te come mio sposo
Milioni di giorni ancor con te dovrei passare
maledetto mutuo c’è ancor tanto da saldare
Ricordo ancor quel maledetto dì che t’incontrai
e tu cretino che non hai voluto lasciarmi mai
E tutti i giorni mi proponi la solita passione
alla missionaria, la stessa posizione
Di odiarti mai e poi mai io smetterò
e tutti giorni finger io dovrò
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– Il sole che filtra dalla finestra mi fa vedere quanto sporchi siano questi vetri, qua è tutto vecchio, il tavolo e le sedie, tarlate come me, questo camino puzza e le piante perdono foglie che dovrei spazzare via, allora vedo questo pavimento pieno di macchie antiche e avrei voglia di arrendermi e scappare via.
– Finalmente il sole che bello! Adoro la mia cucina, il tavolo e le sedie che appartenevano ai mie nonni, l’odore del camino acceso per generazioni, le foglie delle mie piante che muoiono e rinascono, il pavimento solcato dalla storia, mi sento al sicuro, non lascerei mai questo posto.
– Non ho voglia di vedere nessuno, di far venire qualcuno a casa mia tanto meno, qua si respira solo la morte di tutti i miei avi, sono stanca.
– Stasera cena a casa mia come da tradizione, mi da una gioia immensa accogliere gli amici, sento che sto onorando la memoria di famiglia, sono euforica.
– Doversi dare da fare per gli altri, a che scopo? Troppo impegnativo e quasi sempre deludente e non trovo consolazione neanche nei libri, tutte finzioni, convenzionalità, se potessi sbarbare le mie radici forse avrei una vita più dignitosa.– Amo prendermi cura degli altri, per quel poco che riesco a dare mi torna indietro una felicità incredibile. Quando sono sola mi rifugio nei mie libri, sogno e viaggio grazie a loro, ma, nonostante questo sono una donna ben contenta di avere i piedi per terra, se poi la terra è questa mia da sempre, sono grata per avere una vita così degna.
– E’ arrivato il postino, sarà sicuramente una bolletta.
– Finalmente la posta, sto aspettando questa risposta da tempo, che meraviglia!
– Suona il telefono, che palle!
– Si, mi stanno chiamando!
– Che senso a lavarsi, vestirsi, pettinarsi, se non per andare al lavoro, fosse per me vivrei in accappatoio sempre come il grande Lebowsky.
– Mi preparo un bagno con i sali, me lo merito proprio, è la mia prima coccola quotidiana e non vedo l’ora poi di vestirmi e truccarmi per uscire.
– Mi fa schifo immergere il mio corpo in questa vasca dove tutti si sono lavati, io dovevo essere speciale, non come loro, ma non ho scelta se devo lavarmi, non posso uscire in queste condizioni.
– Devo andare, ho ricevuto un invito, da un bell’uomo che ho conosciuto giorni fa, dopo una breve conversazione partita un po’ per caso, ha insistito così fermamente nel volermi rivedere, peccato non poterlo fare venire qui, sono emozionata.
– Via, andiamo, quel tipo vuole vedermi nel suo studio, non so neanche io perché ho accettato, spero solo in una piccola evasione da questa mia vita fiacca e sempre uguale.“Signora lei soffre di una rara patologia chiamata disturbo dissociativo dell’identità. Le spiego: queste identità assumono in modo ricorrente il controllo del comportamento. Non so se ha presente Dr Jekyll e Mr Hyde. In genere è presente un identità, che è quella che tutti conoscono spesso passiva, debole, dipendente, permeata da sentimenti depressivi che, in determinate condizioni, viene sostituita da una o più personalità alternative. Le consiglio di assumere questi farmaci, l’ipnosi, farsi seguire costantemente da me, vedrà che emergerà presto la sua vera identità e potrà avere una vita serena.”
– Ma lei è pazzo, cosa mi dice, con chi crede di parlare?

PAINTING BY MITZI LINN http://mitzilinn.blogspot.it/ -
Non si è mai chiusa, ha sempre continuato a sanguinare, giorno per giorno, goccia dopo goccia, da un tempo vastissimo. Non ho mai voluto curarla fino in fondo, non avrei mai voluto rivederla, riconoscerla, figuriamoci affrontarla, fa male, fa un male cane e se stappo questo dolore temo di non saper più tornare alla normale apparenza. Mi sento vinta anche se non sono ancora arrivata alla fine, arresa prima di riprovare a lottare, perché ho sempre perso, perché non ho mai avuto le armi, la giusta struttura e la giusta convinzione per lottare. Ma credo che ormai sia inevitabile il confronto con il vero specchio, quello che mostra i cambiamenti di tutti questi anni, tutte le ferite che mi hanno segnata compresa questa che è sempre aperta e getta schizzi come un fiume in piena, sento che se non faccio qualcosa rischio di affogare. Probabilmente è un difetto genetico, ereditato da chissà quante vite, generazioni e errori e non riesco, non sono mai riuscita, a trovare una terapia, ci ho provato illudendomi tante volte, pensando di poter essere amata semplicemente perché credevo che capitando a tutti potesse capitare anche a me. Non mi è mai capitato, io sono strana mi sono sempre detta, ho violentato il mio corpo cercando con il cibo di riempire questo vuoto d’amore perché io sono brutta, sono un essere impresentabile, ho un’anima terribile e non mi posso permettere niente di sano in un rapporto con un uomo. Allora da tanti anni fingo, ho messo su un mattone dopo un altro mattone, ma erano mattoni di argilla e a lungo andare si stanno sgretolando tutti e il sangue sotto li sta corrodendo. Mi sento un sasso in mezzo al mare, un enorme monolite che vede scorrere di tutto ma che non è toccato da niente come se niente appartenesse alla sua natura. Mi sto aggrappando all’affetto che è sicuro, alla mia parte luminosa che mi rende accettabile, ma devo curare e smetterla di tamponare, è inutile, ora rischia di essere solo dannoso. Mi tormenta il fatto che rimedi forse non ce ne sono, che nessun medico sia in grado di guarirmi profondamente, io da sola ci ho provato, e ho sempre fallito e per quanto la mia luce combatta contro la mia oscurità non riesco a vedere un futuro, una guarigione, seppur con una bella cicatrice, completa. Non riesco, ma vorrei farcela. Temo che qualcuno in buona fede possa dirmi ancora tutte le stronzate che sento da quando ero bambina: “Un giorno capiterà anche a te”, “Capita quando meno te lo aspetti”… io non mi aspetto mai niente, vorrei non averne il bisogno. Ci metto tutta la mia razionalità, tutto quello che ho letto, studiato che ho cercato di capire, perché pensavo che una logica ci doveva essere, non c’è, nessuno dei più grandi cervelli del mondo l’ha mia trovata, figuriamoci se riuscivo a capire qualcosa io. La mia testa si chiede continuamente perché allora ne sento il bisogno, che senso ha. Forse mi manca un chip, semplice, sarà così, ma non riesco ad accettarlo.
Ps se a qualcuno di voi, a questo punto, viene in mente il Teorema di Ferradini m’incazzo sul serio.
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L’ho perduto, credo per sempre, non riesco ancora a crederci, è terribile, doveva succedere proprio a me? Tutto il tempo passato insieme e adesso nulla, io non mi capacito, sono disperata. Avevamo condiviso un’infinità di avvenimenti e mi aveva sempre fatto fare una bella figura, mai un tradimento, sempre puntuale, nei momenti giusti si sapeva disciplinare, mi donava il suo calore, ho avuto grandi successi da quando era comparso nella mia vita, ma adesso, così di punto in bianco mi ha lasciata, senza un preavviso, proprio stasera, una delle serate più importanti della mia vita, Che dirò alla gente, che scuse inventerò? Sono perduta e mi sento anche patetica, so che dovrei reagire, ma non sopporto il benché minimo imprevisto figuriamoci una cosa così grave. Devo pensare, riflettere, rimanere calma, pensare al da farsi nell’immediato e dopo potrò concedermi anche di piangere. Se n’è andato da poco è già mi manca terribilmente, devo farmi forza, una soluzione ci deve essere, qualcuno in grado di aiutarmi ci sarà, devo respirare lentamente recitare un mantra, Dio sono nel panico, sto perdendo il controllo, devo respirare e pensare che fin dei conti cosa sarà mai, non sono la prima ne l’ultima donna a cui capita una cosa del genere, coraggio mi ripeto, coraggio, ma mi viene sempre in mente la faccia di chi me l’ha portato via togliendomi ogni speranza, visualizzo solo quell’immenso vuoto in casa. Quando qualcosa fa parte della tua vita da tanto tempo la dai per scontata e non pensi mai che tutto questo può annullarsi da un momento all’altro, so che è la legge dell’universo, tutto nasce e muore ma sono umana e avverto il dolore del distacco, non ho ancora avuto un evoluzione tale da essere così libera dagli attaccamenti terreni e non so se sul serio sarò in grado di farne a meno, almeno per il momento, maledetto forno perché ti sei guastato!

