di Sabrina Ancarola Faccio cose perché sono inquieta, scrivo perché, dare una forma alla mia inquietudine, a volte è divertente. Sono cantante, presentatrice, scrittrice e autrice di pièce teatrali e cene con delitto. Non so cosa mi riesce peggio, ma mi ostino perché mi piace ballare pur non sapendo affatto ballare.
Ti han lasciato decadere
come si lascia decadere l’avanzo
nel frigo dell’italico senato
Ma il tuo popolo si stringe a te
tu non sei solo!
Ricorda degli amici che ti stanno accanto
senti il nostra abbraccio
i nostri corpi che a te si uniscono
noi che siamo così vicini e tu che ci tendi la mano …
ma …scusa Silvio or mi urge dirti
che quello non è il culo di Daniela
ma è quello mio!
In principio era il caos, ma poi non è che le cose in seguito furono molto diverse. Cercando di mettere un certo ordine Lei creò il cielo e la terra. La terra era informe deserta, le tenebre ricoprivano l’abisso e lo materia di Lei aleggiava sulle acque. Lei disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. Lei vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte.
E fu sera e fu mattina: primo giorno.
Lei disse: “Devo inventarmi qualcosa per separare le acque dalle acque”. Lei creò la volta celeste e separò le acque, che sono sotto la volta celeste, dalle acque, che son sopra la volta celeste. E così avvenne. Lei chiamò la volta celeste semplicemente cielo, una parola corta che Le suonava bene.
E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
Lei disse: “Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto che non vorrei che mi venisse l’artrosi”. E così avvenne. Lei chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E Lei vide che era cosa buona. Lei disse: “La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie”. E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. E Lei disse: “Ho fame e qualcosa dovevo pur inventarmi” Lei vide che era cosa buona.
E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
Lei poi fece un sacco di altre cose, si divertì a creare la luna e poi, visto che aveva freddo, creò il sole. E fu sera e fu mattina, e fu che passarono altri e fu. Lei mise in cielo, nelle acque e in terra figure animate, alcune belle, altre brutte, alcune utili e altre inutili a seconda dell’ispirazione del momento. Arrivata al sesto giorno Lei cominciava ad annoiarsi, prese un cane ma non le bastava. Allora Lei disse al suo cane: “Voglio inventarmi una creatura a mia immagine, a mia somiglianza, che domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra, o che almeno ci provi a fare tutte queste cose”.
Lei forgiò la creatura a sua immagine, ma al primo tentativo constatò di non aver fatto un gran capolavoro, ci riprovò e siccome nella creazione, come il maiale, non si butta via nulla, chiamò il suo primo esperimento uomo e la sua riuscita donna.
Lei benedisse il settimo giorno perché in esso aveva cessato ogni lavoro che Lei creando aveva fatto, mise su un vecchio disco di Janis Joplin, si rollò una canna e si riposò.
Anna arricciava il naso, non le piaceva l’idea di andare allo zoo, ma i suoi genitori dicevano che l’avrebbero portata la per il suo divertimento e non aveva osato contraddirli. Lei amava passare il tempo chiusa nella sua cameretta a giocare con i suoi peluche come la sua scimmietta Jenny, il suo coniglietto Mizzy e il suo cagnolino Sammy. Erano questi gli animali che preferiva, non quelli che puzzavano e che facevano strani versi. Con loro poteva inventarsi fantastiche avventure e volare in mondi profumati di dolci e varie leccornie. Le dispiaceva non stare con loro quel pomeriggio, sperava almeno che in quel giro allo zoo avrebbe avuto lo zucchero filato, il sole che fa brillare d’oro l’autunno e le noccioline destinate agli elefanti.
La distanza fra il parcheggio e l’ingresso al parco le pareva immensa, ma già poteva avvertire quell’odore insopportabile. I suoi genitori erano certo più entusiasti di lei dei leoni, degli orsi e dei pinguini. Camminarono a lungo e anche lo zucchero filato non si rivelò così buono come lei aveva sperato, presa dalla noia cominciò a staccarne piccoli pezzi dallo stecco e a farli volare via. Fu solo quando portò a termine questo suo laborioso compito che si rese conto che lo zucchero filato si era tutto appiccicato alla zebra che viveva nella gabbia accanto. Sorrise e si avviò insieme ai genitori verso l’auto quando si accorse di un ombra scura sopra la sua testa, alzò lo sguardo e vide la zebra di zucchero volante.
Se la tua risposta è la n° 1 predomina la parte Mistress del tuo cervello, ti consiglio di legare le tue sinapsi al letto e di cercare di risolvere così il cubo di Rubrik
Se la tua risposta è la n° 2 sei uno schiavo del tuo cervello, ti piace farti umiliare dai tuoi neuroni.
Se la tua risposta è la n° 3 non predomini un cazzo, anche i bambini di 2 anni ti mangiano la pappa in testa
Se avete perso tempo a fare questo test siete messi peggio di me che l’ho scritto
Amavo farle gli scherzi, amavo farla ridere e cercavo ogni occasione per vedere il suo bel viso risplendere.
Sono passati tanti anni, ma per me lei rimane sempre quella ragazza dal viso paffuto che ride in modo sguaiato e con gli zampilli di luce dentro gli occhi. La nostra è stata una storia semplice, ci siamo conosciuti e amati, abbiamo condiviso gioie e fatiche, ci siamo consolati a vicenda nei momenti bui. Abbiamo percorso tanta strada insieme, poi lei si è persa e per quanto mi sforzi non riesco più a ritrovarla.
Ho in mano questa piuma, mi piacerebbe risentire la sua risata e rivedere quella luce nei suoi occhi, ma adesso lei non mi riconosce più.
Le starò accanto, le ripeterò il mio nome, forse un giorno ricorderà, forse un giorno ci ritroveremo.
In redazione:
“Allora dobbiamo scrivere un articolo sulle baby prostitute, cerchiamo di essere veloci, la notizia sta creando un vespaio di polemiche ed è un bene” “Ok, io penso alle interviste in zona e …”
“No quelle ve le potete risparmiare, tanto diranno tutti che non se la aspettavano, che erano tutte ragazzine di buona famiglia e le solite stronzate … anche se riconosco che le interviste al citofono dei vicini fanno sempre il loro bell’effetto, ma quelle lasciamole alle televisioni, noi siamo la stampa”
“Potremmo intervistare qualche sociologo o altri opinionisti … che ne so qualche ex concorrente del Grande Fratello”
“No, dobbiamo puntare su un altro tipo di approccio” “Si ha ragione direttore, lei sa quanto mi stanno a cuore i temi che riguardano le donne, lo sfruttamento, un certo tipo d’immagine nei media che promuove la …”
“Ecco la solita femminista del cazzo, non perdiamo tempo in stronzate che non fanno vendere, questa storia delle ragazzine è una bomba che dovremmo utilizzare al massimo”
“Però vorrei dire che sarebbe opportuno, se ritiene che sia una buona cosa ovviamente, anche analizzare le cause che portano le giovanissime a vendere il proprio corpo, parlare del perché alcune ragazze cerchino di mostrarsi in un certo modo, aprire un’inchiesta sui i clienti, parlare delle famiglie delle …”
“Concentriamoci sul titolo” “Si ma vorrei che l’inchiesta non si fermasse ai soliti …”
“Guardi faccia un po’ come cazzo crede, il titolo l’ho trovato: BELLE, NUDE, GIOVANISSIME, TUE QUANDO E COME VUOI. Lei ci scriva quel che vuol che vuole che tanto con un titolo così di copie ne vendiamo a iosa.”
(ovviamente anche lo smartphone ha le sue colpe) 😛
Io ce l’avevo detto che mica ci volevo andare alla guerra io, ma mi ci avevano mandato perché dicevano che era mio dovere servire l’Italia, ma io dell’Italia che ne sapevo che conoscevo solo il mio paese e poi anche di guerra che ne sapevo io? C’avevo la terra e le bestie e queste le conoscevo, mica conoscevo il fucile e neanche lo avevo mai visto un treno io. Mi avevano mandato in città e messo sul treno insieme ad altri che non conoscevo, ma io c’avevo paura sai . Mi avevano messo addosso uno zaino, sembravamo come i somari chiusi nel treno e faceva freddo. C’avevo fame e quella fame mi fu sempre compagna. Ci fecero scendere che pioveva e camminare per ore e ore per andare sulle montagne che non erano le mie montagne. Mi mancava già la mia mamma che non vedevo l’ora di tornare. C’han fatto stare nelle buche e c’erano gli spari e c’erano le bombe. A noi mica ci svegliava il sole e non si andava a dormire con la luna come facevo da contadino, c’erano degli scoppi che facevano giorno e muovevano la terra e mostri di lamiera che camminavano e che sparavano come i cannoni e li chiamavano “la tecnologia” e io neanche la sapevo questa parola. Non sapevo che c’erano cose moderne e a che servivano poi se non per ammazzare altre bestie come me? E c’erano i pidocchi e i topi che ci davano il tormento e c’era il Gasperti che mi scriveva le lettere per la mia mamma che neanche sapeva leggere ma mi diceva che stava bene e io gli dicevo che anche io stavo bene, ma non era vero, mica potevo dirgli che la piangevo sempre e che mi mancava tanto? E anche le galline mi mancavano, mi mancava anche la zappa che faceva un male di schiena ma almeno quando zappavo ero un uomo, non una cosa che se ne stava nelle buche ad aspettare al freddo e alla fame. Si passava il tempo a disperarci insieme e a scacciare i topi, neanche a cagare ci avevamo pace che c’erano sempre altri soldati e mai si stava da soli. C’avevo sempre paura, freddo e fame, c’avevamo tutti paura, freddo e fame e i botti ci facevano saltare i nervi. Una volta ci dissero che dovevamo avanzare, ma ci dovevano dire che dovevamo ammazzare e ci sparavano davanti e da dietro per non farci tornare indietro e a quel punto neanche più la fame e il freddo sentivo, ma solo la paura. Ho ucciso un ragazzo che sembravo io e ad un certo punto ho solo visto morti e poi volevo scappare ma non sapevo dove andare. Ho camminato per non so quanto e son dovuto passare sui morti che puzzavano e io dei morti c’avevo rispetto, m’avevano insegnato ad averlo e qua neanche li potevano portare via poveri ragazzi. C’avevo sempre paura, freddo e fame e non si dormiva e c’erano i botti e c’avevo paura che un giorno han cominciato a tremarmi le gambe che non riuscivo più a camminare e non hanno mai smesso che mi han dovuto portare all’ospedale. Poi il dottore li all’ospedale mi aveva detto che sono diventato uno scemo di guerra e neanche ci volevo andare alla guerra io.
Patricia, lunghi capelli neri, vitino da vespa e un generoso sedere, se ne stava alla finestra per guardare il confuso via vai delle persone. Era un piacere per lei osservare dall’alto della sua posizione lo sciame grigio che si accalcava lungo le vie del centro, tutti camminavano veloci, la loro frustrazione si poteva respirare fino ai piani alti. Macchine, persone, buste della spesa, corrieri, cani che avrebbero voluto stare altrove, era quella la bellezza della città rinascimentale appena fuori dalla zona pedonale, il casino concentrato tutto intorno. Patricia si sentiva la pietra preziosa di quel mesto anello. Amava toccarsi pensando alla fatica del garzone che, fra gli autisti arrabbiati, doveva fare le corse per scaricare la merce, la sua era una perversione semplice che poteva attuare ogni qual volta aveva del tempo libero.
Quel pomeriggio avvertiva una particolare sete di soddisfare le proprie voglie, si sarebbe divertita con il suo compagno di giochi mentre spiava i passanti noncuranti della libido dell’inquilina del III piano di viale Ariosto n° 23. Una voyeur al contrario.
Si era preparata con cura, indossava solo una leggera sottoveste rossa sul suo corpo liscio e profumato, aveva aperto la finestra e aveva cominciato a guardare. Il traffico quella sera era ancora più intenso del solito come intensa era la sua voglia, ma non voleva cominciare a toccarsi solo per accumulare la giusta energia sessuale da sfruttare quando fosse arrivato il suo uomo. I minuti passavano, il lattaio che litigava con il tizio della macchina in doppia fila, il vecchietto che bestemmiava contro la moto che lo aveva quasi investito, la fretta degli impiegati, tutta quella confusione accresceva il suo stato febbrile, ma lui dov’era? Le ruote dell’autobus che avevano schizzato di fango quella signora tanto per bene, i clacson urlanti, la bicicletta sui marciapiedi e gli insulti dei passanti, era tutto meraviglioso se solo ci fosse stato il suo compagno a penetrarla da dietro, ma lui non poteva essere li con lei, era rimasto bloccato nel traffico.