(questo è un mio racconto scritto qualche tempo fa che avevo dimenticato d’inserire qua)
Eva rincorreva puntualmente l’autobus, ci saliva sopra tutta sudata con le guance rosse rosse. Rischiava sempre di cadere per via di quelle strane scarpe che si ostinava a mettere in cui si sentiva veramente sé stessa. Stava li, strizzata fra tutte quelle persone in quel giorno di pioggia. Ascoltava musica triste dal suo walkman, via via che il nastro scorreva l’espressioni sul suo volto cambiavano, si poteva capire quale tipo di canzone stesse ascoltando semplicemente guardandole il viso. Aveva 19 anni, vestiva di nero e non dava confidenza a nessuno. Tutte le mattine saliva su quell’autobus noncurante di lei. Vedeva le persone cambiare abbigliamento, senza mai cambiare espressione. Scrutava lo scorrere delle stagioni, quell’accozzaglia umana che cambiava colore e odore della pelle. Lei rimaneva sempre fedele a se stessa e godeva un mondo nell’isolarsi pur stando in mezzo alla folla. Il suo trucco era sempre troppo forte per la sua bianchissima carnagione e il nero degli occhi era passato con doviziosa imperfezione. Le sue canzoni erano sempre le stesse, a metà percorso rigirava la cassetta e il giorno dopo ricominciava da capo. Con il tempo poteva osservare la città che cambiava, i pochi negozi che aprivano, i molti che chiudevano. Strade violentate dai lavori in corso, nuovi modelli di trasporto pubblico all’avanguardia e auto sempre più volgari. Eva manteneva il suo stile, sarebbe salita sempre sull’autobus avrebbe vestito sempre allo stesso modo e sentito solo la sua musica, niente poteva intaccare il suo mondo. Le piacevano le mattine di pioggia come quella, la portavano lontano nei ricordi, la riportavano al giorno in cui era morta.
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