La bambina portoghese (che fine ha fatto?)

E poi e poi ti ritrovi nel rosso del tramonto immersa nella malinconia di una sera estiva senza risposte, cerchi con la logica di aggirare il dolore ma questo non sente ragione. 
E poi e poi la delusione sale, l’amarezza ha sempre lo stesso sapore e ti dai della cogliona mentre cerchi di buttare giù l’ennesimo rospo.

E poi e poi ti torna in mente che da tempo non scavi dentro di te, che non ti lasci totalmente stregare da una canzone. 
E poi e poi ti ricordi di aver messo da parte un brano di Guccini che  ti trasporta via lontano  …

e poi e poi vediamo dove mi porta. 
Silvia  si sentiva già grande, lei poteva andare a fare il bagno da sola senza che sua madre dovesse immergersi per forza in acqua per tenerla d’occhio, lei era un asso con le biglie e i maschi sulla spiaggia avevano smesso di sfidarla da un pezzo,  lei sapeva perfino prepararsi  la colazione in totale autonomia e sentiva davvero che poteva benissimo non aver bisogno di niente e di nessuno se in casa c’erano il latte, le fette biscottate e la nutella.  Quella mattina si svegliò di buonóra, mangiò e scese in spiaggia, a parte qualche nonnina a quell’ora non c’era mai nessuno e a lei piaceva pensare di avere tanto tempo da poter dedicare alla costruzione di castelli, alla ricerca di preziose conchiglie e alle sue escursioni in terra e in mare prima che arrivassero i soliti mocciosi ad intaccare il suo meraviglioso mondo fatto di sabbia, idee nuove e di acqua.
Le onde erano ridotte in minimi sussulti spumosi, il vento era gentile, rinfrescava senza alzare i fastidiosi granelli di arena in aria. Vedeva passare ogni tanto qualche donna con abiti colorati che veniva da un mare molto lontano e che le offriva di acconciarle i capelli. Sentiva delle strambe canzoni dalla radio del bar sulla spiaggia e pensava che quella estate si sarebbe dilatata all’infinito e che sarebbe diventata presto la regina di quel mondo perfetto di caldo e di spruzzi.  Silvia non conosceva che il bello delle cose e, in un angolo della sua testa, pensava che dovesse essere consapevole dell’importanza di preservare quella  purezza. Mentre era assorta nei suoi pensieri sentì le voci agitate di due signori grinzosi e canuti che si lamentavano del disordine del paese e che rammentavano i bei tempi andati parlando male dello stato attuale. Silvia li ascoltava e sorrideva, si diceva che non sarebbe mai diventata come loro perché lei poteva essere sì grande, ma non sarebbe mai stata vecchia perché possedeva la magia della stella marina che aveva visto, così credeva,  quella volta che con la maschera esplorava l’abisso fatto di poco più di metro del mare, una stella marina che le aveva donato il potere di fluttuare leggera sopra le persone ed il tempo.  Era meravigliosa la sensazione che provava e che, come ogni giorno, veniva rotta dalla voce di sua madre che la richiamava ai suoi noiosissimi compiti di scuola.
Ogni volta che accadeva sentiva frantumarsi il suo universo, ogni mattina poi con sempre più fatica lo ricostruiva per sentirsi di nuovo libera.
Passarono i giorni, poi l’estate e dopo tornava il tempo delle calze e delle sciarpe e di nuovo  poi  la primavera che tendeva verso il futuro mare. La spiaggia, i mocciosi che cominciavano ad essere interessanti, la vergogna di mostrare un seno che sembrava improvvisamente cresciuto e i discorsi dei vecchi, di altri vecchi e le donne con abiti colorati che iniziavano a darle fastidio perché qualcuno le aveva detto che in qualche modo cercavano di fregarla.  Poi i ragazzi, l’amore quello sognato, l’amore fatto di sesso e sudore, il lavoro, lo stress, i figli, il futuro fottuto per colpa di altri, come aveva ben imparato, la magia dell’estate persa un milione di anni prima forse proprio poco dopo quella mattina in cui si sentiva già grande.

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